Collezione Arturo Martini
L’ultima sala è dedicata alla figura di Arturo Martini, che costituisce uno dei nuclei fondamentali delle collezioni del Museo: la selezione di opere proposte copre tutto il percorso artistico dello scultore ed è articolata in senso cronologico.
Le giovanili “teste” Lo zio (1927) e La scoccombrina (1927), insieme alla più tarda La Cicci (ovvero Egle Rosmini, 1937) esprimono l’abilità dell’artista nel lavorare diversi materiali (terracotta, bronzo, legno) e la straordinaria capacità di cogliere suggestioni da altri artisti e da altri movimenti, anche del passato (le prime due sculture presentano un gusto decisamente espressionista, mentre La Cicci sembra quasi richiamare le sperimentazioni ottocentesche di Medardo Rosso).
Dagli anni Trenta Martini sviluppa un linguaggio caratterizzato da piccole figurine (quasi in contrapposizione alle opere monumentali che realizza per l’arte ufficiale del regime), nelle quali talvolta si colgono riferimenti alla tradizione artistica dei secoli precedenti.
Talvolta, all’opposto, lo scultore attinge dalla tradizione antica e sacra un repertorio di immagini e di situazioni: La Visitazione (1936) offre quindi l’occasione per raffigurare l’abbraccio tra due donne, Il figliol prodigo (1933) invece quello tra un padre e un figlio, Il Ratto delle Sabine (1938) raffigura una caotica e vorticosa scena di battaglia.
Sono esposti anche tre dipinti – Il fantino (1939), Tennis al Lido (1940) e Paesaggio verde (1946) – che testimoniano i rapporti dell’artista con la pittura, praticata a partire dalla fine degli anni Trenta, con alterni giudizi da parte della critica.